Alcune foto dell'Assemblea pubblica di Venerdi 18 Marzo in Sala Tommasoli |
Venerdì 18 Marzo, in Sala Tommasoli, si è svolta l'Assemblea pubblica "Verona nella strategia della tensione" in cui è intervenuta Luciana Castellina.
L'iniziativa, molto partecipata, è stata l'occasione per presentare il libro "Parole per Piazza Fontana. Biennio rosso, strage nera" con gli autori Antonio Damiani e Maurizio Framba. Ha introdotto e moderato l'incontro Giorgio Gabanizza di Sinistra Italiana Verona.
La serata è stata impreziosita da numerose e qualificate testimonianze di persone e realtà associative veronesi: anche per questo è stata un'utilissima occasione di confronto che ha toccato numerosi temi, dalle violenze neofasciste al ruolo americano nella strategia della tensione, fino alla grande questione della Pace, sempre presente in ogni discorso. La posizione di Sinistra Italiana su questo punto è stata unanimemente considerata giusta e necessaria, in un mondo che oggi procede verso l'orrore della guerra.
Di seguito riportiamo, in forma scritta, due dei tanti interventi: quello del Prof. Lorenzo Bernini e della giornalista Jessica Cugini.
Intervento di Lorenzo Bernini:
Parole per Piazza Fontana
Per chi nasce negli anni ’70, in
una famiglia di comunisti come la mia, Piazza Fontana è, prima che la storia di
una strage e di una vicenda giudiziaria infinita, una canzone, che si canta in
macchina quando ancora le autoradio non esistono, e che comincia con “Quella
sera a Milano era caldo, ma che caldo, che caldo faceva. Brigadiere apra un po’
la finestra. Una spinta e Pinelli va giù”.
Questo per me è il primo ricordo,
legato più alla “Ballata dell’anarchico Pinelli” che alla strage e alle
indagini successive. Un ricordo legato a una canzone che cantavo da bambina,
senza capire esattamente il significato di tutte le parole, ma con la
consapevolezza che raccontava di qualcuno che aveva spinto un uomo giù da una
finestra…
Solo da adulta scoprirò che della
stessa canzone esistono versioni diverse e che tutte hanno però un passaggio:
“anarchia non vuol dire bombe, ma giustizia nella libertà”.. che sembra
riprendere una frase della lettera che Pinelli scrisse a un giovane anarchico
di Bolzano, Paolo Faccioli, in prigione perché accusato dei due attentati
dinamitardi avvenuti a Milano il 25 aprile del 1969, quello al padiglione Fiat
della Fiera campionaria e all’Ufficio cambi della stazione centrale di Milano.
Una lettera che Pinelli scrive
senza ancora sapere della strage, nel pomeriggio di quel 12 dicembre 1969 in
cui Calabresi gli chiederà di seguirlo sul Benelli in questura… una lettera che
recita: “l’anarchismo non è non violenza, la rigettiamo, ma non vogliamo
subirla”.
Un nome, questo di Paolo
Faccioli, che conoscerò meglio grazie soprattutto a due libri, “La Bomba” di
Deaglio e “Prima di Piazza Fontana. La prova generale” di Paolo Morando,
presentato qui a Verona a dicembre, grazie alla Cgil, insieme al libro di
stasera. Presentazione che, per chi era presente, è stata la possibilità di
ascoltare dal vivo la testimonianza di Fortunato Zinni che si ritrova anche in
“Parole per Piazza Fontana”.
Ogni volta che si ha la fortuna
di trovarsi davanti a un testimone di un pezzo importante della storia del
nostro Paese, ci si domanda cosa avverrà quando chi c’era, chi ricorda e
racconta, non ci sarà più. Quando, gli stessi famigliari di Piazza Fontana, che
dopo le sentenze che non condannano Freda e Ventura (perché due volte per la
stessa imputazione non si può essere giudicati) decidono di trasformarsi da
famigliari delle vittime a testimoni di una strage, non ci saranno più, cosa
avverrà?
La risposta l’ho trovata nel
libro, nelle parole di Vanessa Roghi e nell’oggi. In quel che accade e non si
può comprendere, non solo se non si ha memoria, ma se non si coltiva un metodo
di pensiero, un metodo che abitui a leggere gli eventi odierni con la
prospettiva temporale di un lungo periodo, che ha radici nel passato.
Forse, per noi che siamo nate e
nati dopo quel ’69, cresciuti cantando canzoni di cui non capivamo il
significato, ma che contribuivano a formare il nostro pensiero, è più facile
delle e dei giovani di oggi. Ma questo vuol dire, come scrive Luciana
Castellina nella prefazione, che occorre che anche le giovani generazioni si
approprino della memoria come chiave di lettura per capire il presente, per orientare
l’oggi e soprattutto, alla luce dell’oggi, il domani…
Perché ricordare serve per
accendere la vigilanza, per riconoscere quelle che sono le stesse parole
d’ordine di ieri, che ritroviamo oggi, qui, a Verona. Parole, slogan, simboli
fascisti. Ne siamo circondati, ce lo ha ricordato il libro di Paolo Berizzi, “È gradita la camicia nera”, che è stato presentato con Landini
lo scorso gennaio, sempre grazie alla Cgil.
Con la consapevolezza e la
sensazione, è vero, di rapportarci, come scrivono gli autori del libro, sempre “impreparati
alla storia”, ma accompagnate/i da un’altra consapevolezza: quella della
necessità di colmare il più possibile questa impreparazione. Perché il sapere è
il solo metodo che conosciamo per fare politica. Perché è questo che ci hanno
insegnato quando abbiamo iniziato a militare da ragazze e ragazzi. Ci hanno detto
che dovevamo studiare, meglio, che dovevamo istruirci, oltre che agitarci e
organizzarci.
Ed è solo grazie a questo sapere
che abbiamo la chiave di lettura necessaria per capire da dove parte la
macchinazione che porta a comprendere non solo la strage di Piazza Fontana, ma
l’oggi. A ricostruire non solo un puzzle
intricato di indagini giudiziarie, ma il filo che tiene insieme nomi che si
rincorrono in tempi storici differenti.
Mi fermo su uno, perché credo sia
eloquente di come le cose funzionino in questo Paese.
Alla fine di questa estate, sono
stata a Ventotene, in un Viaggio della Memoria organizzato da Istoreco,
l’Istituto di storia della Resistenza di Reggio Emilia. Lì ho “trovato” l’alto
funzionario fascista Marcello Guida, direttore delle colonie di confino di
Ponza e Ventotene, dove era stato confinato Pertini. Socialista al confino. Lo
stesso Pertini che, da presidente della Camera, all’indomani della morte di
Pinelli, si rifiuterà di stringergli la mano al suo arrivo alla stazione di
Milano, trovandoselo davanti, questore della città.
Lo stesso Pertini che ricorda
bene come gli anarchici venivano trattati da Guida al confino. A loro,
raccontano le memorie degli oppositori al regime, erano riservate punizioni di
particolare durezza, tra castighi e olio di ricino. Non è un caso se gli
anarchici, all’indomani del 25 luglio del ’43, dopo il crollo del regime e la
liberazione dei confinati, verranno trattenuti sull’isola. Pertini, insieme a
Terracini, si esporrà per loro, soprattutto quando al posto della liberazione per
loro ci sarà l’internamento in uno dei peggiori campi di concentramento
italiani, a Renicci di Anghiari. Pertini ricorda, come noi dovremmo ricordare oggi
che l’amnistia di tutto questo, a Guida e camerati, arriva da Togliatti.
Guida è l’uomo che ordinò nel
’68, da questore di Torino, e nel ’69 di Milano, le cariche sui cortei di
studenti e operai del biennio caldo. È colui che in quell’anno di bombe (dal 3
gennaio al 12 dicembre di Piazza Fontana saranno 145, una ogni tre giorni), la
sera stessa dell’esplosione di Piazza Fontana, organizzerà la grande retata
degli anarchici e diffonderà per primo la voce che la mente della strage è
Feltrinelli, che (lo ricordano Deaglio e Moraldo) da anni è seguito con tenacia
dall’Ufficio affari riservati. D’altra parte tutte le indagini sulle bombe del
25 aprile sono segnate dalla volontà di incolpare gli anarchici.
Guida è colui che la notte del 16
dicembre, la notte della morte di Pinelli, davanti a Camilla Cederna, Giampaolo
Pansa e Corrado Stajano, pronuncerà quella frase infame per cui Licia Rognini,
vedova Pinelli, lo querelerà. Lo racconta nel suo libro “Una storia soltanto
mia”, scritto con il giornalista Piero Scaramucci, ideatore del progetto
politico/editoriale di Radiopopolare, edito con Mondadori e andato al macero
nella sua prima edizione che troverà luce con Feltrinelli. Libro che oggi è un
bellissimo graphic novel di Beccogiallo, “Volo senza un grido”, che dovremmo
regalare alle/ai più giovani… E lo racconta anche con lo storico Marco
Severini, nel libro “Licia. La storia di della prima donna italiana che
denunciò un questore”, perché Licia Rognini è la vedova Pinelli, ma è anche e
soprattutto la prima donna che denuncia un questore, Guida, per aver detto che
“Pinelli era fortemente indiziato di concorso di strage, il suo alibi era
crollato. E, coerente con i suoi princìpi, quando ha visto che la legge lo
aveva preso, si è tolto la vita…”
Una frase per cui non pagherà
mai, anzi sarà assolto perché il fatto non sussiste. Così come non pagherà la
falsità di un’altra affermazione, quella in cui sostenne che il fermo di
Pinelli, che con i tre giorni va oltre il periodo previsto dalla legge, era
stato autorizzato da un magistrato…
Non solo non pagherà, ma Guida
farà carriera. Come tanti protagonisti di questa vicenda sarà promosso: come i
cinque dentro la stanza della questura da cui cadde Pinelli, Guida finirà la
sua carriera da ispettore generale in un ministero romano… Un fare che sappiamo
è rimasto nel tempo questo delle promozioni di chi si è trovato invischiato in
pezzi determinanti della storia del nostro Paese… l’abbiamo visto anche con il
G8 di Genova..
Non ci stupisce neanche che le 5 bombe
del 12 dicembre del ‘69 (Piazza Fontana e Piazza della Scala a Milano, e le tre
romane alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio,
al museo del Risorgimento in piazza Venezia e all’Altare della Patria) scoppino
proprio mentre in parlamento si deve votare il disarmo della polizia durante le
manifestazioni politiche e sindacali, richiesta che arriva dopo che durante gli
scioperi di Avola e Battipaglia (il primo per il rinnovo del contratto dei
braccianti, il secondo per protesta contro la chiusura delle fabbriche)
muoiono, per mano delle forze dell’ordine, quattro persone, due per ciascuno
sciopero…
Ci troviamo in un tempo caldo, gli
scioperi sono sempre più coordinati e frequenti, c’è preoccupazione e
attenzione su questa sinistra che agita il Paese, acquista consenso, c’è
bisogno di una strategia della tensione che depotenzi il clima, o meglio c’è
bisogno, l’abbiamo visto anche a Genova, di un clima di paura…
E tutto converge su queste intenzioni,
non solo le bombe ma anche le indagini che le riguardano..
-per cui ecco che il capo dell’Ufficio
politico della questura, Antonio Allegra, collegherà immediatamente le bombe
del 25 aprile ’69 a quelle delle Rinascente dell’agosto e dicembre del ‘68, di
cui sui giornali non c’è traccia… la matrice è la medesima: anarchica, e lo
stabilisce a solo 3 ore dagli attentati, compilando il primo rapporto, che sarà
uguale a quello del 9 maggio; ancora prima che arrivino le perizie sugli ordini
si dirà che erano uguali…
-ecco la decisione di far brillare la
seconda bomba del 12 dicembre, quella che doveva esplodere presso la Banca
commerciale di piazza della Scala e che invece viene fatta brillare nel
cortile, ancor prima che si possano prendere impronte digitali, cercare indizi…
-ecco che il salone della Banca
Nazionale dell’Agricoltura verrà ripulito e ritinteggiato appena 12 ore dopo la
strage, per riaprire il lunedì successivo, come se niente fosse, come se non ci
fossero stati 17 morti, delle indagini da svolgere… c’è la fretta di chiudere,
di dare la soluzione… d’altra parte arriva già confezionata da Roma, ci si
lavora da mesi…
-ecco perché la notizia sulla borsa
che conteneva la seconda bomba e che viene riconosciuta da una commessa
padovana che dice di averne vendute 4, non viene messa a conoscenza dei
magistrati e perché, nonostante la testimonianza del tassista Cornelio Rolandi
descriva un uomo tanto diverso da quello che gli viene mostrato in quell’unica
foto di riconoscimento, Valpreda, è Valpreda l’uomo che sale con la borsa della
strage… la storia della borsa serve, è parte del canovaccio della finzione
scritta per incastrare Valpreda, secondo quanto emerge dall’archivio Russomanno
sulle bombe romane, in una brandello di borsa sarebbe stato ritrovato anche un
pezzetto di vetro colorato che incastrerebbe Valpreda che costruisce lampade
liberty per l’anarchica Vincileoni, anche lei inquisita con il marito, nel
complotto per incastrare Feltrinelli…
Man mano che si leggono le carte e i
libri che raccontano processi, istruttorie, udienze in cui vengono smontati o
ritenuti inattendibili testimonianze, indizi, prove, cresce l’indignazione. E
allora è proprio questa indignazione che occorre tener viva, coltivare e
suscitare ancora oggi, in questo tempo che dimentica in fretta, non più
abituato alla memoria.
Coltivare l’indignare ed esercitarla
soprattutto tra le persone più giovani, dobbiamo essere esempio che tramanda il
dovere di essere là, dove è giusto stare… e dove noi, stiamo da sempre!
Mentre il Governo Draghi tutela solo i più ricchi, Sinistra Italiana ha lanciato una proposta di giustizia sociale a beneficio di lavoratori e lavoratrici.
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