La prima questione; le elezioni presidenziali in America. Sconfitto Trump, non il trumpismo. Resta il modello proposto da Trump; un modello di economia costruita sull’uso incondizionato delle risorse, in primo luogo quelle energetiche, sul primato della manifattura nazionale, sul dominio dell’identità etnica bianca maschile, sulla negazione delle funzioni sociali dello stato. E’ Il potere forte dello Stato a livello nazionale e l’affermazione di autonomia autoritaria nei rapporti internazionali, la cancellazione degli accordi ambientali, lo svuotamento degli strumenti di collaborazione internazionale, OMS, NATO, ONU. L’apertura di situazioni di preconflitto con Cina e Russia. L’accettazione delle politiche di Israele e Arabia in Mediooriente.
Bene che
Biden abbia vinto, bene hanno fatto Sanders e l’opposizione di sinistra a
accettare un’alleanza in difesa della democrazia e della tolleranza, ribadendo punti programmatici
essenziali della sinistra su lavoro e diritti. Da una lettura geografica del
risultato elettorale emerge l’identità degli schieramenti contrapposti; le
coste e le grandi città contro le
campagne e le microrealtà abitative. Ai diversi territori conquistati
elettoralmente da Democratici e Repubblicani corrispondono realtà produttive,
culture sociali, identità etniche diverse, interessi strategici alternativi. E’
stata sconfitta la parte più retriva della politica americana e cio è bene. Ma
il modello capitalistico sofisticato della Silicon Valley, la tecnologia
avanzata, la ricerca di energie alternative, la cultura dei diritti individuali
non nascondono la logica della gerarchia sociale, della precarietà dei bassi
livelli, il conflitto feroce di mercato. Biden non è il socialismo, non è
nemmeno una prospettiva di cambiamento credibile. L’alleanza elettorale e di
governo accettata dalla sinistra americana è una scelta corretta in una visione
di autonomia di progetto e di iniziativa. Aspettiamoci una nuova pesante
ripresa dell’offensiva della destra moderata in USA, della cultura e degli
interessi materiali che rappresenta.
Naturale il
paragone con la situazione italiana, a partire dalla debolezza politica e
programmatica del governo che appoggiamo, dal peso della crisi sanitaria e economica,
che colpirà settori sempre più vasti del modo del lavoro e della piccola
imprenditoria, dal peso elettorale e economico di una destra che trova la sua
rappresentanza nelle organizzazioni politiche di Destra e nello sfondo sociale
le associazioni confindustriali.
La situazione
economica e sanitaria del paese è grave: la crisi economica che segue la vicenda del Covid è al
tempo stesso la continuità della non risolta crisi finanziaria del 2008. E’
crollata l’illusione di un capitalismo
che avrebbe garantito uno sviluppo senza limiti, l’equa distribuzione della
ricchezza, la tutela del lavoro e l’utilizzo razionale delle risorse naturali. Si
è estinto il consumo come volano di crescita dell’economia.
Stiamo
assistendo al secondo momento di crisi dell’economia mondiale, ancor più
pesante in quelle aree economiche maggiormente integrate con un ciclo omogeneo
di produzione e di consumi. In particolare l’Europa, dove si è
realizzato, per molti aspetti, il livello più maturo del modello capitalistico
e delle conquiste sociali, sta vivendo una profonda crisi. E’ la pesante
ridimensionamento delle filiere della produzione integrata che attraversa tutti
i paesi, il crollo dell’esportazioni, una crisi di produzione e di consumo che
apre a una recessione storica.
La negazione
di un modello classico di ripresa economica viene dalla caduta generale dei
consumi, vistosa se confrontata con la riduzione dei redditi e indirizzata
al risparmio bancario. Aspettiamoci una crisi di lungo periodo, a cui non
sarà possibile uscire con strumenti tradizionali, che colpirà i paesi e i
settori sociali più deboli. Il nostro paese sta già pagando i limiti di uno
sviluppo basato da anni sugli elementi deboli della competitività; i bassi
salari e il tanto lavoro non sono da
tempo in grado di garantire ruolo nella gerarchia del valore; la tendenza in
atto da parte del Governo non sembra in grado di dare un’adeguata risposta alle
pretese della Confindustria.
Il Veneto
registra una particolare penalizzazione per le caratteristiche specifiche della
sua economia. Il primato nel turismo nazionale e la collocazione centrale
nella filiera della subproduzione dell’automotive si riflettono nella crisi
economica. I dati sulla CIG, sui licenziamenti che hanno comunque colpito le
aree della precarietà e dei contratti a tempo determinato sono impietosi. L’allarme
sociale sarà ancor più pesante nella gestione di una destra del tutto egemone
sul piano politico e della rappresentanza istituzionale. Ci aspetta un
lungo periodo di battaglia e di iniziativa a partire dalla politica industriale
europea, dal controllo sulle filiere produttive alla definizione di criteri
comuni sui diritti sindacali e salari.
A livello
nazionale l’alternativa è legata a nuove politiche di governo, a scelte
dure e radicali; nazionalizzare le imprese strategiche non sostenibili,
riconvertire interi settori produttivi, controllare i mercati finanziari,
lanciare un grande piano per il risanamento e la tutela ambientale, per la
riconversione alle energie rinnovabili, per la reindustrializzazione ecologica.
Un lungo percorso di transizione a un nuovo modello sociale; per
un’economia attenta agli interessi collettivi, alla tutela dell’ambiente, del
patrimonio antropico, alle risorse naturali. Le risorse vanno trovate in una fiscalità
fortemente progressiva, che incida sulle fasce più alte dei redditi e dei
profitti, che abbia un riscontro Europeo, senza esclusione di zone franche,
che ponga, per i livelli di reddito e di capitale più alti, l’applicazione di
un prelievo specifico, nel pesante ridimensionamento delle spese militari. Per
la Regione Veneto un reperimento delle risorse attraverso il taglio delle spese
inopportune, come le Olimpiadi, e un prelievo fiscale progressivo, una aliquota
regionale IRPEF legata alla ricchezza, controllo delle accise e della tassa
automobilistica.
Allo
Stato, in tutte le sue articolazioni, il compito di intervenire direttamente
nell’ambito di ricerca e progettazione, di investimenti, definendo scelte di sviluppo
industriale, assumendo ruoli e
responsabilità; iniziativa diretta dello stato, sull’economia, fino alla
diretta gestione.
In attesa
della definizione delle politiche di sviluppo del Recovery Fund, registriamo
nelle proposte per la Finanziaria del 2021 il ripetersi delle logiche che hanno
vincolato le politiche economiche del nostro paese negli ultimi decenni.
Nessuna scelta di indirizzo per le politiche industriali, nessun
condizionamento per i contributi statali. Ci viene proposta la diminuzione del
costo del lavoro legata alle categorie e ai territori più deboli; donne,
giovani, sud, senza che a questo corrisponda una selezione sulla qualità e
valore delle produzioni. Questa prospettiva è destinata a riproporre le esperienze
della crisi del 2008; aziende agli ultimi posti nella scala del valore
aggiunto, lavoro precario e sottopagato.
Serve la
sinistra; poniamoci
nella prospettiva di costruire una nuova sinistra, uno strumento per l’elaborazione progettuale,
per l’analisi della crisi nei territori, per l’intervento diretto nelle realtà
di sofferenza e di esclusione. Oggi la nostra esperienza, il partito
che abbiamo costruito e difeso, in una fase di pesante dissoluzione delle
soggettività politiche, è strumento indispensabile ma non sufficiente
per un soggetto politico che nella coerente alleanza istituzionale contro la
destra e nella capacità di proposta nella gestione delle maggioranze di
governo, sappia esprimere totale autonomia strategica e iniziativa di contrasto
e di proposta. Il confronto che stiamo operando a livello nazionale con altre
esperienze è su questa prospettiva. Il progetto finale delineato è quello di un
soggetto politico-partito come risultato di un percorso radicato
territorialmente e condiviso (posizione
condivisa dai due principali interlocutori, Laforgia e Smeriglio). Bene che
su questo percorso si vada a un momento di riflessione e di definizione delle
responsabilità, alla condivisione delle prospettive comuni. Il nostro congresso
sarà l’occasione.
Verona 20/11/20
Mauro Tosi (Coordinatore regionale Sinistra Italiana Veneto)
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