Lavoro, la prima emergenza

ELEZIONI REGIONALI DEL VENETO 2015

LAVORO: LA PRIMA EMERGENZA

Si è parlato per anni del “modello veneto”, la fabbrica d’Italia, la regione più dinamica e avanzata del paese. Si è “messa in produzione” la regione garantendo bassi costi e alta produttività, un modulo basato su flessibilità e bassi salari, una filiera industriale per conto terzi, che ha utilizzato per anni la “svalutazione competitiva” della lira come strumento alternativo a investimenti su ricerca e nuova tecnologia.

Si è enfatizzato e finanziato un “modello” che ha visto il progressivo trasferimento delle grandi e storiche aziende in altri siti, la sistematica esternalizzazione e delocalizzazione di settori e reparti di produzione, la scomposizione del mondo del lavoro, la scientifica sussunzione del territorio, la frammentazione sociale.

Oggi anche i livelli occupazionali, i tanti scarsi salari non ci sono più, travolti dalla crisi internazionale. Abbiamo perso 140.000 posti di lavoro, sono altri i 170.000 i disoccupati, decine di migliaia sono le aziende che hanno chiuso (circa 4.000) il 26% dei giovani è disoccupato. Sono oltre 10.000 in 25 aziende i lavoratori veneti interessati a processi di ristrutturazione delle loro aziende, con un utilizzo della cassa integrazione che ha superato la cifra di 500 milioni di ore.

Vi è una responsabilità anche della sinistra e delle organizzazioni sindacali che non hanno saputo essere promotori di un’alternativa economica e sociale. I prezzi pagati dalla nostra regione sono sotto gli occhi di tutti, in termini di disastro sociale e ambientale.

Bisogna cambiare modello economico, società; bisogna cambiare politica. Per far fronte alla crisi che sta attraversando il Veneto, che è assieme crisi sociale, ambientale, morale, serve un progetto all’altezza della complessità e della sfida.

Bisogna sottrarre il nostro territorio alla logica della speculazione e dell’uso improprio delle risorse naturali, vanno tutelati e valorizzati i “ beni comuni “ , a cominciare dalla ripubblicizzazione dell’acqua e dal blocco allo spreco di nuovo territorio per motivi industriali e residenziali..

Sono “beni comuni” non solo le risorse naturali ma le conquiste sociali frutto di decenni di lotte divenute pratica di solidarietà sociale e oggi attaccate da forme sempre più estese di privatizzazione e di trasferimento dei costi sulle categorie più deboli.


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